I Signori della Guerra
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Messaggio  Bieco Sab Nov 27, 2010 7:31 pm

...I Cavalieri Teutonici:

Per molti storici erano i rappresentanti dell’ordine cavalleresco più duro, più autoritario, talvolta ritenuto anche il più feroce.
La confraternita si formò a Gerusalemme nel 1128 secondo alcuni fonti, nel 1228 secondo altre, quando per soccorrere i crociati di origine germanica feriti alcuni mercanti di Brema e Lubecca organizzarono un ospedale sotto le mura della città assediata, innalzando tende cucite con le vele delle navi.
Al suo arrivo in Terrasanta, l’imperatore Federico II di Svevia decise di prendere l’ospedale sotto la sua protezione e nel 1192 Papa Celestino III riconobbe la nuova confraternita.
La trasformazione però in ordine cavalleresco avvenne solo nel 1198, in occasione della ritirata dell’esercito tedesco dalla Terrasanta.

A rendere grande l’Ordine dei Cavalieri Teutonici fu il Gran Maestro Hermann Von Salza.
Questi infatti non solo riuscì a guadagnare la piena fiducia dell’Imperatore Federico, ma ottenne anche l’approvazione da parete del Papa Onorio III che conferì all’ordine la più completa autonomia, sia in campo religioso, sia in campo civile.
E come i Templari e gli Ospedalieri (divenuto oggi l’Ordine dei Cavalieri di Malta), i Cavalieri Teutonici dovevano rispondere delle loro azioni solo davanti al Gran Maestro o al Papa.

Nel 1230 l’Ordine Teutonico si trasferì in Prussia, permettendo ai suoi cavalieri di crearsi un vero e proprio impero.
I Teutonici infatti costrinsero alla sottomissione le varie tribù pagane del luogo, costringendole a conversioni: agli scontri seguivano spesso battesimi di massa.
Lungo tutto il territorio germanico furono edificate fortezze, che i Teutonici utilizzarono come sedi del loro governo.
Tra il XII e il XIII secolo la potenza dell’ordine si allargò dalla Germania in Italia, in Armenia, in Boemia, a Cipro e perfino in Francia.
Espansione dell’ordine ad est fu bloccato solo grazie all’intervento del principe russo Alexander Nevskij nel 1240.
Ma solo nel 1410, in seguito alla sconfitta subita contro polacchi e lituani coalizzati, l’Ordine Teutonico cominciò a decadere.

Per un certo periodo entrare nell’Ordine Teutonico fu relativamente semplice,: non era infatti necessario essere di sangue nobile, come per altri ordini cavallereschi.
Solo nel 1216 e nel 1284 due ordinanze papali sancirono che sarebbe stato necessario uno speciali permesso per i non nobili.
Oltre a pronunciare i voti caratteristici di tutti gli ordini cavallereschi (giuramento di obbedienza al Gran Maestro ed all’Istituto, impegno a difendere fino alla morte la Fede Cristiana), i Cavalieri Teutonici ricevevano un’iniziazione particolare.
I membri dell’ordine venivano infatti addobbati, ossia vestiti con le armi, secondo un rituale che molti definiscono ancora oggi di origine oscura e misteriosa.
Dopo aver ricevuto la spada, l’elmo, il giaco (la cotta di maglia), lo scudo triangolare, gli speroni e il budriere (la cinghia di cuoio che regge la spada) venivano colpiti dal padrino con un colpo di spada dato di piatto sulla nuca, in un simbolico gesto di purificazione.
La cerimonia aveva luogo di solito in occasione delle grandi feste liturgiche e per essere addobbato un cavaliere doveva avere almeno dieci anni anzianità.

Dei tre voti (di castità, povertà ed obbedienza) i Cavalieri Teutonici pronunciavano, l’obbedienza era sicuramente il più importante.
Gli iniziati dovevano sottostare ad un regime che non concepiva errori.
Alla più piccola disubbidienza i cavalieri infatti erano costretti a lavorare per un anno come prigionieri di guerra.
La minima insubordinazione equivaleva a morte certa.
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Messaggio  Bieco Sab Nov 27, 2010 7:34 pm

...La Regola Templare:

"La Regola Redatta a Troyes (1129), ispirata da San Bernardo, ricalca sostanzialmente quella cistercense in quanto a preghiera e vita quotidiana del monaco. Le aggiunte, senza dubbio innovative, e che ne fanno un documento unico nel medioevo, riguardano le indicazioni sull'arte della guerra e l'attività di lotta armata agli infedeli.
Essa promuove valori collettivi in un mondo cavalleresco sensibile soprattutto alle prodezze individuali. Fa riferimenti precisi alla disciplina da osservare in convento, sul campo di battaglia, durante gli spostamenti. Sviluppa una ideologia del coraggio, dello spirito di sacrificio, del senso del dovere, dell'orgoglio della bandiera e dell'abito. Lo stendardo dell'Ordine, il famoso gonfalone baussant (o baucent), punto di raccolta dei fratelli durante il combattimento o sul campo, è il simbolo della coesione dell'Ordine. Si deve anche sottolineare l'importanza attribuita all'abito. Dopo la perdita della Domus, la perdita dell'abito è la più grave punizione che possa spettare ad un cavaliere. Tutto questo è manifestazione chiara di una "cultura della guerra", esplicita nella Regola dei Templari.
Esistono due versioni della Regola: la prima redatta in latino, lingua ufficiale della burocrazia ecclesiastica, dal chierico Johan Michiel (detta anche regola primitiva), la seconda del 1140, compilata in francese per gli "illetterati".
La Regola latina primitiva comprende settantadue articoli. L'Ordine è però una istituzione dinamica, che si adatta alle esigenze dei tempi e dei luoghi, pur non rinnegando i suoi scopi iniziali. La Regola quindi si comporta di conseguenza, adattandosi alle nuove situazioni che man mano si presentano: integrata da bolle papali, dai retrais, dagli status e dagli egards, arriverà a contare ben 678 articoli dai 72 iniziali.
Della Regola francese, con capoversi miniati in azzurro, esiste il manoscritto originale presso il Fondo Corsini (Biblioteca dei Lincei) a Roma. Copia della stessa si trova a Parigi."

La regola primitiva

I - Quale divino ufficio debbano udire

Voi che rinunciate alla propria volontà, e tutti gli altri che per la salvezza della anime con coi militano per un certo tempo, con cavalli e armi per il sommo re, abbiate cura di udire con pio e puro desiderio nella sua totalità Matutini e l'Integro Servizio, secondo l'istituzione canonica e la consuetudine dei dottori regolari della Santa Città.Soprattutto da voi, venerabili fratelli, è dovuto il sommo grado, poiché disprezzata la luce di questa vita, e superata la preoccupazione dei vostri corpi, avete promesso di disprezzare il mondo incalzante per amore di Dio per sempre: rifocillati e saziati dal divino cibo, istituiti e confermati dai precetti del Signore, dopo la consumazione del Divino Mistero nessuno tema la battaglia, ma sia preparato alla corona.

II - Dicano le preghiere del Signore, se non hanno potuto udire il servizio di Dio

Inoltre se un fratello lontano per caso per un impegno della cristianità orientale (e questo più spesso non dubitiamo sia avvenuto) non potesse udire per tale assenza il servizio di Dio: per Matutini dica tredici orazioni del Signore e per le singole ore, sette; per i Vespri, riteniamo se ne debbano dire nove, e questo lo affermiamo unanimemente a libera voce: Questi infatti impegnati così in un lavoro di preservazione, non possono accorrere nell'ora opportuna al Divino Ufficio. Ma se fosse possibile, nell'ora stabilita non trascurino quanto dovuto per istituzione.

III - Che cosa fare per i fratelli defunti

Quando uno dei fratelli professi sacrifica ciò che è impossibile strappare alla morte, che non risparmia nessuno, ciò che è impossibile strappare: ai cappellani e ai sacerdoti che con voi caritatevolmente e temporaneamente servono al Sommo Sacerdote comandiamo con carità di offrire per la sua anima a Cristo con purezza di spirito l'ufficio e la Messa solenne. I fratelli ivi presenti, che pernottano pregando per la salvezza del fratello defunto, dicano cento orazioni del Signore fino al settimo giorno per il fratello defunto: dal giorno in cui fu annunciata la morte del fratello, fino al predetto giorno, il numero centenario venga rispettato con fraterna osservanza nella sua integrità con divina e misericordiosa carità scongiuriamo, e con pastorale autorità, comandiamo, che ogni giorno, come al fratello si dava e si doveva nelle necessità così si dia ad un povero fino al quarantesimo giorno ciò che è necessario al sostentamento di questa vita, per quanto riguarda cibo e bevanda. Del tutto proibiamo ogni altra offerta, che nella morte dei fratelli, e nella solennità di Pasqua, inoltre nelle altre solennità, la spontanea povertà dei poveri commilitoni di Cristo era solita in modo esagerato dare al Signore.

IV - I cappellani abbiano soltanto vitto e vestito

Comandiamo che per comune accordo del capitolo le altre offerte e tutte le altre specie di elemosine, in qualunque modo siano, vengano date con attenta cura ai cappellani o gli altri che restano temporaneamente. Perciò i servitori della Chiesa abbiano soltanto vitto e vestito secondo l'autorità, e non pretendano di avere nulla di più, tranne che i maestri spontaneamente e caritatevolmente abbiano dato.

V - I soldati temporanei defunti

Vi sono tra di noi dei soldati che temporaneamente e misericordiosamente rimangono della casa di Dio, e Tempio di Salomone. Perciò con ineffabile supplica vi preghiamo, scongiuriamo, e anche con insistenza comandiamo, che nel frattanto la tremenda potestà avesse condotto qualcuno all'ultimo giorno, per amore di Dio, fraterna pietà, un povero abbia sette giorni di sostentamento per la sua anima.

VI - Nessun fratello professo faccia un'offerta

Abbiamo decretato, come più sopra fu detto, che nessuno dei fratelli professi presuma di trattare un'altra offerta: ma giorno e notte con cuore puro rimanga nella sua professione, perché sia in grado di eguagliare il più santo dei profeti in questo: prenderò il calice della salvezza, e nella mia morte imiterò la morte del Signore: poiché come Cristo diede la sua anima per me, così anche io sono pronto a dare l'anima per i fratelli,, ecco l'offerta giusta: ecco l'ostia viva gradita a Dio.

VII - Non esagerare nello stare in piedi

Abbiamo sentito con le nostre orecchie un teste sincerissimo, che voi assistete al divino ufficio stando costantemente in piedi: questo non comandiamo anzi vituperiamo: comandiamo che finito il salmo, "Venite esultiamo al Signore" con l'invitatorio e l'inno, tutti siedano tanto i forti quanto ai deboli, per evitare scandalo. Voi che siete presenti, terminato ogni salmo, nel dire "Gloria al Padre", con atteggiamento supplice alzatevi dai vostri scanni verso gli altari, per riverenza alla Santa Trinità ivi nominata, e insegnammo ai deboli il modo di chinarsi. Così anche nella proclamazione del Vangelo, e al "Te Deum laudamus", e durante tutte le Lodi, finché finito "Benediciamo il Signore", cessiamo di stare in piedi, comandiamo anche che la stessa regola sia tenuta nei Matutini di S. Maria.

VIII - Il riunirsi per il pasto

In un palazzo, ma sarebbe meglio dire refettorio, comunitariamente riteniamo che voi assumiate il cibo, dove, quando ci fosse una necessità, a causa della non conoscenza dei segni, sottovoce e privatamente è opportuno chiedere. Così in ogni momento le cose che vi sono necessario con ogni umiltà e soggezione di reverenza chiedete durante la mensa, poiché dice l'apostolo: Mangia il tuo pane in silenzio. E il Salmista vi deve animare, quando dice: Ho posto un freno alla mia bocca, cioè ho deciso dentro di me, perché non venissi meno nella lingua cioè custodivo la mia bocca perché non parlassi malamente.

IX - La lettura

Nel pranzo e nella cena sempre si faccia una santa lettura. Se amiamo il signore, dobbiamo desiderare di ascoltare attentamente le sue parole salutifere e i suoi precetti. Il lettore vi intima il silenzio.

X - Uso della carne

Nella settimana, se non vi cadono il Natale del Signore, o la Pasqua, o la festa di S. Maria, o di tutti i Santi, vi sia sufficiente mangiare tre volte la carne: l'abituale mangiare la carne va compresa quale grave corruzione del corpo. Se nel giorno di Marte cadesse il digiuno, per cui l'uso della carne è proibito, il giorno dopo sia dato a voi più abbondantemente. Nel giorno del Signore appare senza dubbio, opportuno dare due portate a tutti i soldati professi e ai cappellani in onore della Santa Resurrezione. Gli altri invece, cioè gli armigeri e gli aggregati, rimangono contenti di uno, ringraziando.

XI - Come debbono mangiare i soldati

È opportuno generalmente che mangino due per due, perché l'uno sollecitamente provveda all'altro, affinché la durezza della vita, o una furtiva astinenza non si mescoli in ogni pranzo. Questo giudichiamo giustamente, che ogni soldato o fratello abbia per sé solo una uguale ed equivalente misura di vino.

XII - Negli altri giorni siano sufficienti due o tre portate di legumi

Negli altri giorni cioè nella seconda e quarta feria nonché il sabato, riteniamo che siano sufficienti per tutti due o tre portate di legumi o di altri cibi, o che si dica companatici cotti: e così comandiamo che ci si comporti, perché chi non possa mangiare dell'uno sia rifocillato dall'altro.

XIII - Con quale cibo è necessario cibarsi nella feria sesta

Nella feria sesta riteniamo lodevole accontentarsi di prendere solamente un unico cibo quaresimale per riverenza alla passione, tenuto conto però della debolezza dei malati, a partire dalla festa dei santi fino a Pasqua, tranne che capiti il Natale del Signore o la festa di S. Maria o degli Apostoli. Negli altri tempi, se non accadesse un digiuno generale, si rifocillino due volte.

XIV - Dopo il pranzo sempre rendano grazie

Dopo il pranzo e la cena sempre nella chiesa, se è vicina, o, se così non è, nello stesso luogo, come conviene, comandiamo che con cuore umiliato immediatamente rendano grazie al sommo procuratore nostro: che è Cristo: messi in disparte in pani interi, si comanda di distribuire come dovuto per fraterna carità ai servi o ai poveri i resti.

XV - Il decimo del pane sia sempre dato all'elemosiniere

Benché il premio della povertà che è il regno dei cieli senza dubbio spetti ai poveri: a voi tuttavia, che la fede cristiano vi confessa indubitabilmente parte di quelli, comandiamo che il decimo di tutto il pane quotidianamente consegniate al vostro elemosiniere.

XVI - La colazione sia secondo il parere del maestro

Quando il sole abbandona la regione orientale e discende nel sonno, udito il segnale, come è consuetudine di quella regione, è necessario che tutti voi vi rechiate a Compieta, ma prima desideriamo che assumiate un convivio generale. Questo convivio poniamo nella disposizione e nella discrezione del maestro, perché quando voglia sia composto di acqua; quando con benevolenza comanderà, di vino opportunamente diluito. Questo non è necessario che conduca a grande sazietà o avvenga nel lusso, ma si parco; infatti vediamo apostatare anche i sapienti.

XVII - Terminata la Compieta si conservi il silenzio

Finita la Compieta è necessario recarsi al giaciglio. Ai fratelli che escono da Compieta non venga data licenza di parlare in pubblico, se non per una necessità impellente; quanto sta per dire al suo scudiero sia detto sommessamente. Forse può capitare che in tale intervallo per voi che uscite da Compieta, per grandissima necessità di un affare militare, o dello stato della nostra casa, perché il giorno non è stato sufficiente, sia necessario che lo stesso maestro parli con una parte dei fratelli, oppure colui al quale è dovuto il comando della casa come maestro. Così questo comandiamo che avvenga; poiché è scritto: Nel molto parlare non sfuggirai al peccato. E altrove: La morte e la vita nelle mani della lingua. In questo colloquio proibiamo la scurrilità, le parole inutili e ciò che porta al riso: e a voi che vi recate a letto, se qualcuno ha detto qualcosa di stolto, comandiamo di dire l'orazione del Signore con umiltà e devota purezza.

XVIII - Gli stanchi non si alzino per i Matutini

Non approviamo che i soldati stanchi si alzino per i Matutini, come è a voi evidente: ma con l'approvazione del maestro, o di colui al quale fu conferito dal maestro, riteniamo unanimemente che essi debbano riposare e cantare le tredici orazioni costituite, in modo che la loro mente concordi con la voce secondo quanto detto dal profeta: Salmeggiate al Signore con sapienza: e ancora: al cospetto degli angeli salmeggerò a te. Ma questo deve dipendere dal consiglio del maestro.

XIX - Sia conservata comunità di vitto tra i fratelli

Si legge nella pagina Divina: Si divideva ai singoli, come era necessario per ciascuno. Perciò non diciamo che vi sia accezione di persone ma vi deve essere considerazione delle malattie. Quando uno ha meno bisogno, ringrazi Dio, e non si rattristi: colui che ha bisogno si umili per l'infermità, non si innalzi per la misericordia, e così tutte le membra saranno in pace. Ma questo proibiamo ché a nessuno sia lecito abbracciare una astinenza fuori posto, ma conducano una vita comune costantemente.

XX - Qualità e stile del vestito

Comandiamo che i vestiti siano sempre di un unico colore, ad esempio bianchi, o neri, o, per così dire, bigi. A tutti i soldati professi in inverno e in estate, se è possibile, concediamo vesti bianche, cosicché coloro che avranno posposto una vita tenebrosa, riconoscano di doversi riconciliare con il loro Creatore, mediante una vita trasparente e bianca. Che cosa di bianco, se non l'integra castità? La castità è sicurezza della mente, e sanità del corpo. Infatti ogni militare, se non avrà preservato nella castità, non potrà raggiungere la pace perpetua e vedere Dio; come attesta l'apostolo San Paolo: Seguiamo la pace con tutti e la castità, senza cui nessuno vedrà il Signore. Ma perché una sia di questo stile deve essere privo della nota arroganza e del superfluo; comandiamo a tutti che abbiano tali cose affinché ciascuno da solo sia capace senza clamore di vestirsi e svestirsi, mettersi i calzari e levarseli. Il procuratore di questo ministero con vigile cura sia attento nell'evitare questo, coloro che ricevono abiti nuovi, restituiscano subito i vecchi, da riporre in camera, o dove il fratello ci spetta il compito avesse deciso, perché possano servire agli scudieri o agli aggregati, oppure ai poveri.

XXI - I servi non portino vesti bianche, cioè pallii

Decisamente disapproviamo quanto era nella casa di Dio e del tempio dei suoi soldati, senza discrezione e decisione del comune capitolo, e comandiamo, che venga radicalmente eliminato quasi fosse un vizio proprio. I servi e gli scudieri portavano una volta vestiti bianchi, donde derivavano danni. Sorsero infatti in zone ultra montane alcuni falsi fratelli, sposati, ed altri, che dissero di appartenere al Tempio, mentre sono del mondo. Costoro procurarono tante ingiurie e tanti danni all'ordine militare, e gli aggregati presuntuosi come professi insuperbendo fecero nascere numerosi scandali. Portino quindi sempre vestiti neri: nel caso in cui questi non possano essere trovati, abbiano quelli che si possano trovare nella provincia in cui abitano, o quanto può essere avvicinato alla più semplice di un unico colore, cioè bigio.

XXII - I soldati professi portino solo vestiti bianchi

A nessuno è concesso portare tuniche candide, o avere pallii bianchi, se non ai nominati soldati.

XXIII - Si usino solo pelli di agnelli

Abbiamo deciso di comune accordo, che nessun fratello professo abbia pelli di lunga durata perenne o pelliccia o qualcosa di simile, e che serva al corpo, anche per coprirlo se non di agnelli o arieti.

XXIV - I vecchi vestiti siano dati agli scudieri

Il procuratore o datore dei vestiti con ogni attenzione dia i vecchi abiti sempre agli scudieri e agli aggregati, e talvolta ai poveri, agendo con fedeltà ed equità.

XXV - Chi brama le cose migliori abbia le peggiori

Se un fratello professo, o perché gli è dovuto o perché mosso da superbia volesse abiti belli o ottimi, meriterebbe per tale presunzione senza dubbio quelli più umili.

XXVI - Sia rispettata la qualità e la quantità dei vestiti

È necessario osservare la quantità secondo la grandezza dei corpi e la larghezza dei vestiti: colui che consegna gli abiti sia in questo attento.

XXVII - Colui che consegna i vestiti conservi innanzitutto l'uguaglianza

Il procuratore con fraterno intuito consideri la lunghezza, come sopra fu detto, con la stessa attenzione, perché l'occhio dei sussurratori o dei calunniatori non presuma di notare alcunché: e in tutte queste cose, umilmente mediti la ricompensa di Dio.

XXVIII - L'inutilità dei capelli

Tutti i fratelli, soprattutto i professi, è bene che portino capelli in modo che possano essere considerati regolari davanti e dietro e ordinati; e nella barba e nei baffi si osservi senza discussione la stessa regola, perché non si mostri o superficialità o il vizio della frivolezza.

XXIX - Circa gli speroni e le collane

Chiaramente gli speroni e le collane sono una questione gentilizia. E poiché questo è riconosciuto abominevole da tutti, proibiamo e rifiutiamo l'autorizzazione a possederli, anzi vogliamo che non ci siano. A coloro che prestano servizio a tempo non permettiamo di avere né speroni, né collane, né capigliatura vanitosa, né esagerata lunghezza di vestiti, anzi del tutto proibiamo. A coloro che servono al sommo creatore è sommamente necessaria la mondezza interna ed esterna, come egli stesso attesta, dicendo: Siate mondi, perché Io sono mondo.

XXX - Numero dei cavalli e degli scudieri

A ciascun soldato è lecito possedere tre cavalli, poiché l'insigne povertà della casa di Dio e del Tempio di Salomone non permette di aumentare oltre, se non per licenza del maestro.

XXXI - Nessuno ferisca uno scudiero che serve gratuitamente

Concediamo ai singoli militari per la stessa ragione un solo scudiero. Ma se gratuitamente e caritatevolmente quello scudiero appartiene a un soldato, a costui non è lecito flagellarlo, e neppure percuoterlo per qualsiasi colpa.

XXXII - In che modo siano ricevuti coloro che restano a tempo

Comandiamo a tutti i soldati che desiderano servire a tempo a Gesù Cristo con purezza d'animo nella stessa casa, di comprare fedelmente cavalli idonei in questo impegno quotidiano, e armi e quanto è necessario. Abbiamo anche giudicato, tutto considerato, che sia cosa buona e utile valutare i cavalli. Si conservi perciò il prezzo per iscritto perché non venga dimenticato: quanto sarà necessario al soldato, o ai suoi cavalli, o allo scudiero, aggiunti i ferri dei cavalli secondo la facoltà della casa, sia acquistato dalla stessa casa con fraterna carità. Se frattanto il soldato per qualche evento perdesse i suoi cavalli in questo servizio; il maestro per quanto può la casa, ne procurerà altri. Al giungere del momento di rimpatriare, lo stesso soldato conceda la metà del prezzo per amore divino, e se a lui piace, riceva l'altra dalla comunità dei fratelli.

XXXIII - Nessuno agisca secondo la propria volontà

È conveniente a questi soldati, che stimano niente di più caro loro di Cristo, che per il servizio, secondo il quale sono professi, e per la gloria della somma beatitudine, o il timore della geenna, prestino continuamente obbedienza al maestro. Occorre quindi che immediatamente, se qualcosa sia stato comandato dal maestro, o da colui al quale è stato dato mandato dal maestro, senza indugio, come fosse divinamente comandato, nel fare non conoscano indugio. Di questi tali la stessa verità dice: Per l'ascolto dell'orecchio mi ha obbedito.

XXXIV - Se è lecito andare senza comando del maestro in un luogo isolato

Scongiuriamo, e fermamente loro comandiamo, che i generosi soldati che hanno rinunciato alla propria volontà, e quanti sono aggregati, senza la licenza del maestro, o di colui cui fu conferito, di non permettersi di andare in un luogo isolato, eccetto di notte al sepolcro, in armi, e sorvegliare, poiché l'astuto nemico colpisce di giorno e di notte, o a quei luoghi che sono inclusi nelle mura della santa città.

XXXV - Se è lecito camminare da soli

Coloro che viaggiano, non ardiscano iniziare un viaggio né di giorno né di notte, senza un custode, cioè un soldato o un fratello professo. Infatti dopo che furono ospitati nella milizia, nessun militare, o scudiero o altro, si permetta di andare per vedere negli atri degli altri militari, o per parlare con qualcuno, senza permesso, come fu detto sopra. Perciò affermiamo saggiamente, che in tale casa ordinata da Dio, nessuno secondo il suo possesso svolga il proprio servizio o riposi; ma secondo il comando del maestro ciascuno agisca così che imiti la sentenza del Signore, con cui ha detto: Non sono venuto a fare la mia volontà, ma di Colui che mi ha mandato.

XXXVI - Nessuno chieda singolarmente ciò che è a lui necessario

Comandiamo, che sia scritta tra le altre come propria questa consuetudine e posta ogni attenzione confermiamo perché si eviti di cercare il vizio. Nessun fratello professo, deve chiedere che gli sia assegnato personalmente un cavallo o una cavalcatura o delle armi. In che modo? Se la sua malattia, o la debolezza dei sui cavalli, o la scarsezza delle sue armi, fosse riconosciuta tale, che avanzare così sia un danno comune: si rechi dal maestro, o da colui chi è dovuto il ministero dopo il maestro, e gli esponga la causa con sincerità e purezza: infatti la cosa va risolta nella decisione del maestro, o del suo procuratore.

XXXVII - I morsi e gli speroni

Non vogliamo che mai oro o argento che sono ricchezze particolari appaiano nei morsi o nei pettorali, né gli speroni, o nei finimenti, né sia lecito ad alcun fratello professo acquistarli. Se per caso tali vecchi strumenti fossero stati dati in dono, l'oro o l'argento siano colorati in modo che il colore o il decoro non appaia arroganza in mezzo agli altri. Se fossero stati dati nuovi, il maestro faccia ciò che vuole di queste cose.

XXXVIII - Sulle aste e sugli scudi non venga posta una copertura

Non si abbia una copertura sopra gli scudi e le aste, perché secondo noi questo non è proficuo, anzi dannoso.

XXXIX - L'autorizzazione del maestro

Al maestro è lecito dare cavalli o armi a chiunque, o a chi ritiene opportuno qualunque altra cosa.

XL - Sacco e baule

Non sono permessi sacco e baule con il lucchetto: così siano presentati, perché non si posseggano senza il permesso del maestro, o di colui a cui furono affidati i compiti della casa e i compiti in sua vece. Da questa norma sono esclusi i procuratori e coloro che abitano in provincie diverse, e neppure è inteso lo stesso maestro.

XLI - L'autorizzazione scritta

In nessun modo a un fratello sia lecito ricevere, o dare, dai propri parenti, né qualsiasi uomo, né dall'uno all'altro, senza il permesso del maestro o del procuratore. Dopo che un fratello avrà avuto licenza, alla presenza del maestro, se così a lui piace, siano registrati. Nel caso che dai parenti sia indirizzato a lui qualcosa, non si permetta riceverla, se prima non è stato segnalato al maestro. In questa norma non sono inclusi il maestro e i procuratori della casa.

XLII - La confessione delle proprie colpe

Poiché ogni parola oziosa si sa che genera il peccato, che cosa essi diranno ostentatamente riguardo alle proprie colpe davanti al severo giudice. Dice bene il profeta che se occorre astenersi dai buoni discorsi per il silenzio, quanto più occorre astenersi dalle cattive parole per la penda del peccato. Vietiamo quindi che un fratello professo osi ricordare con un suo fratello, o con qualcun altro, per meglio dire, le stoltezze, che nel secolo nel servizio militare compì in modo enorme, e i piaceri della carne con sciaguratissime donne, o qualsiasi altra cosa: e se per caso avesse sentito qualcuno che riferisce tali cose, lo faccia tacere, o appena può si allontani per obbedienza, e al venditore d'olio non offra il cuore.

XLIII - Questua e accettazione

Se a un fratello fosse stata data qualcosa senza averla chiesta, la consegni al maestro o all'economo: se un altro suo amico o parente non volesse che fosse usata se non da lui, questa non riceva fino a quando abbia il permesso del maestro. Colui al quale sarà stata data la cosa, non dispiaccia che venga data ad un altro: sappia per certo, che se si arrabbiasse per questo, agisce contro Dio. Nella sopraddetta regola non sono contenuti gli amministratori ai quali in modo speciale è affidato e concesso il ministero riguardo al sacco e al baule.

XLIV - I sacchi per il cibo sui cavalli

È utile a tutti che questo ordine da noi stabilito sia rispettato senza eccezioni. Nessun fratello presuma di confezionare sacchi per il cibo di lino o di lana, preparati con troppa cura: non ne abbia se non di panno grezzo.

XLV - Nessuno osi cambiare o domandare

Nessuno presuma di cambiare le sue cose, fratello con il fratello, senza l'autorizzazione del maestro, e chiedere qualcosa, se non fratello al fratello, purché la cosa sia piccola, vile, non grande.

XLVI - Nessuno catturi un uccello con un uccello, neppure proceda con il richiamo

Noi giudichiamo con sentenza comune che nessuno osi catturare un uccello con un uccello. Non conviene infatti aderire alla religione conservando i piaceri mondani, ma ascoltare volentieri i comandamenti del Signore, frequentemente applicarsi alle preghiere, confessare a Dio i propri peccati con lacrime e gemito quotidianamente nella preghiera. Nessun fratello professo per questa causa principale presuma di accompagnarsi con un uomo che opera con il falco o con qualche altro uccello.

XLVII - Nessuno colpisca una fiera con l'arco o la balestra

È conveniente camminare in atteggiamento pio, con semplicità, senza ridere, umilmente, non pronunciando molte parole, ma ragionando, e non con voce troppo elevata. Specialmente imponiamo e comandiamo ad ogni fratello professo di non osare entrare in un bosco con arco o balestra o lanciare dardi: non vada con colui che fece tali cose se non per poterlo salvare da uno sciagurato pagano: né osi gridare con un cane né garrire; né spinga il suo cavallo per la bramosia di catturare la fiera.

XLVIII - Il leone sia sempre colpito

Infatti è certo, che a voi fu specialmente affidato il compito di offrire la vita per i vostri fratelli, e eliminare dalla terra gli increduli, che sempre minacciano il Figlio della Vergine. Del leone questo leggiamo, perché egli circuisce cercando chi divorare, e le sue mani contro tutti, e le mani di tutti contro lui.

XLIX - Ascoltate il giudizio riguardo a quanto è chiesto su di voi

Sappiamo che i persecutori della Santa Chiesa sono senza numero, e si affrettano incessantemente e sempre più crudelmente ad inquietare coloro che non amano le contese. In questo si tenga la sentenza del Concilio fatta con serena considerazione, che se qualcuno nelle parti della regione orientale, o in qualunque altro luogo chiedesse qualcosa su di voi, a voi comandiamo di ascoltare il giudizio emesso da giudici fedeli e amanti del vero; e ciò che sarà giusto, comandiamo che voi compiate senza esitazione.

L - In ogni cosa sia tenuta questa regola

Questa stessa regola comandiamo che venga tenuta per sempre in tutte le cose che immeritatamente sono state a voli tolte.

LI - Quando è lecito a tutti i militari professi avere una terra e degli uomini

Crediamo che per divina provvidenza nei santi luoghi prese inizio da voi questo genere nuovo di religione che cioè alla religione sia unita la milizia e così per la religione proceda armata mediante la milizia, o senza colpa colpisca il nemico. Giustamente quindi giudichiamo, poiché siamo chiamati soldati del Tempio che voi stessi per l'insigne e speciale merito di probità abbiate casa, terra, uomini, contadini e giustamente li governate: e a voi è dovuto in modo particolare quanto stabilito.

LII - Ai malati sia dedicata un'attenzione particolare

Ai fratelli che stanno male occorre prestare una cura attentissima, come si servisse a Cristo in loro: il detto evangelico, sono stato infermo e mi visitaste sia attentamente ricordato. Costoro vanno sopportati pazientemente, perché mediante loro senza dubbio si acquista una retribuzione superiore.

LIII - Agli infermi sia sempre dato ciò che è necessario

Agli assistenti degli infermi comandiamo con ogni osservanza e attenta cura, che quanto è necessario per le diverse malattie, fedelmente e diligentemente, secondo le possibilità della casa sia loro amministrato, ad esempio, carne e volatili ed altro, fino quando siano restituiti alla sanità.

LIV - Nessuno provochi l'altro all'ira

Massima attenzione va posta perché qualcuno non presuma di provocare l'altro all'ira: infatti la somma clemenza della vicina divina fraternità congiunse tanto i poveri quanto i potenti.

LV - In che modo siano accolti i fratelli sposati

Permettiamo a voi di accogliere i fratelli sposati in questo modo, se chiedono il beneficio e la partecipazione della vostra fraternità, entrambi concedano una parte della loro sostanza e quanto avessero ad acquistare lo diano all'unità del comune capitolo dopo la loro morte, e frattanto conducano una vita onesta, e si studino di agire bene verso i fratelli, ma non portino la veste candida e il mantello bianco. Se il marito fosse morto prima, lasci la sua parte ai fratelli: la moglie ricavi il sostegno della vita dall'altra parte. Consideriamo infatti questo ingiusto che fratelli di questo tipo risiedano nella stessa casa dei fratelli che hanno promesso la castità a Dio.

LVI - Non si abbiano più sorelle

Riunire ancora sorelle è pericoloso: l'antico nemico a causa della compagnia femminile cacciò molti dalla retta via del paradiso. Perciò, fratelli carissimi, perché sempre tra voi sia visibile il fiore dell'integrità, non è lecito mantenere ancora questa consuetudine.

LVII - I fratelli del Tempio non abbiano parte con gli scomunicati

Questo, fratelli è da evitare e da temere, che qualcuno dei soldati di Cristo in qualche modo si unisca ad una persona scomunicata singolarmente e pubblicamente, o presuma di ricevere le sue cose, perché la scomunica non sia simile al marantha (vieni Signore). Ma se fosse soltanto interdetto, non sarà fuori posto avere parte con lui, e ricevere caritatevolmente le sue cose.

LVIII - In che modo vanno ricevuti i soldati secolari

Se un soldato dalla massa della perdizione, o un altro secolare, volendo rinunziare al mondo, volesse scegliere la nostra comunione e vita, non si dia a lui subito l'assenso, ma secondo la parola di Paolo, provate gli spiriti se sono da Dio così a lui sia concesso l'ingresso. Si legga dunque la Regola in sua presenza: e se costui ottempererà diligentemente ai comandi di questa esimia Regola, allora se al maestro e ai fratelli sarà piaciuto riceverlo, convocati i fratelli esponga con purezza d'animo a tutti il suo desiderio e la sua richiesta. In seguito il termine della prova dipenda in tutto dalla considerazione e dalla decisione del maestro, secondo l'onestà di vita del richiedente.

LIX - Non siano chiamati tutti i fratelli al consiglio privato

Comandiamo che non sempre siano convocati al consiglio tutti i fratelli, ma solo quelli che il maestro avrà ritenuto idonei e provvidenziali per il consiglio. Quando volesse trattare le questioni maggiori, quale dare la terra comune, o discutere dell'Ordine stesso, o ricevere un fratello: allora è opportuno convocare tutta la congregazione, se così ritiene il maestro; udito il parere di tutto il capitolo, quanto di meglio e di più utile il maestro avrà ritenuto opportuno, questo si faccia.

LX - Devono pregare in silenzio

Comandiamo con parere concorde che, come avrà richiesto la propensione dell'anima e del corpo, i fratelli preghino in piedi o seduti: tuttavia con massima riverenza con semplicità, senza chiasso, perché uno non disturbi l'altro.

LXI - Ricevere la fede dei serventi

Abbiamo saputo che molti da diverse province, tanto aggregati, quanto scudieri desiderano vincolarsi nella nostra casa a tempo con animo fervoroso per la salvezza delle anime. È utile che riceviate la fede loro, affinché per caso l'antico nemico non intimi loro nel servizio di Dio alcunché furtivamente o indecentemente, o li distolga improvvisamente dal buon proposito.

LXII - I fanciulli, fin quando sono piccoli, non siano ricevuti tra i fratelli del Tempio

Quantunque la Regola dei Santi Padri permetta di avere dei fanciulli in una congregazione, noi non riteniamo di dover caricare voi di tale peso. Chi volesse dare in perpetuo suo figlio, o un suo congiunto, nella religione militare: lo nutra fino agli anni, in cui virilmente con mano armata possa eliminare dalla Terra Santa i nemici di Cristo: in seguito secondo la Regola il padre o i genitori lo pongano in mezzo ai fratelli, e rendano nota la sua richiesta. È meglio nella fanciullezza non giurare, piuttosto che diventato uomo ritirarsi in modo clamoroso.

LXIII- Sempre i vecchi siano venerati

È bene che i vecchi con pia considerazione, secondo la debolezza delle forze siano sopportati e diligentemente onorati: i nessun modo si usi severità in quanto la tolleranza è necessaria per il corpo, salva tuttavia l'autorità della Regola.

LXIV - I fratelli che partono per diverse province

I fratelli che si incamminano per diverse province, per quanto lo permettano le forze, si impegnino a osservare la Regola nel cibo e nella bevanda e nelle altre cose, e vivano in modo irreprensibile, perché abbiano buona testimonianza da coloro che stanno fuori: non macchino il proposito di religione né con parola né con atto, ma soprattutto a coloro, con i quali si sono incontrati, offrano esempio e sostanza di sapienza e di buone opere. Colui presso il quale avranno deciso di alloggiare, abbia buona fama: e, se è possibile, la casa dell'ospite in quella notte non manchi della candela, affinché il nemico tenebroso non procuri la morte, Dio non voglia. Quando avranno sentito di riunire soldati non scomunicati, diciamo che colà devono andare non preoccupandosi di una utilità temporale, quanto piuttosto della salvezza eterna delle loro anime. Ai fratelli diretti nelle zone aldilà del mare con la speranza di essere trasportati, raccomandiamo di ricevere con questa convenzione coloro che avessero voluto unirsi in perpetuo all'Ordine militare: entrambi si presentino al Vescovo di quella provincia e il presule ascolti la volontà di colui che chiede. Ascoltata la richiesta, il fratello lo invii al maestro e ai fratelli che si trovano nel Tempio che è in Gerusalemme: e se la sua vita è onesta e degna di tale appartenenza, misericordiosamente sia accolto, se questo sembra bene al maestro e ai fratelli. Se nel frattempo morisse, a causa del lavoro e della fatica, come a un fratello, a lui sia riconosciuto tutto il beneficio e la fraternità dei poveri e dei commilitoni di Cristo.

LXV- A tutti sia distribuito in modo uguale il vitto

Riteniamo anche che questo in modo congruo e ragionevole sia rispettato, che a tutti i fratelli professi sia dato cibo in eguale misura secondo la possibilità del luogo: non è infatti utile l'accezione delle persone, ma è necessario considerare le indisposizioni.

LXVI - I soldati abbiano le decime del Tempio

Crediamo che avendo abbandonato le ricchezze a voi donate abbiate ad essere soggetti alla spontanea povertà, per cui in questo modo abbiamo dimostrato in quale modo spettino a voi che vivete in vita comune le decime. Se il Vescovo della chiesa, al quale è dovuta giustamente la decima, avrà voluto darla a voi caritatevolmente: deve dare a voi le decime che allora la Chiesa sembra possedere con il consenso del capitolo comune. Se un laico dovesse impossessarsi di essa (decima) o sottrarla dal suo patrimonio in modo condannabile, e confessando la propria colpa avrà voluto lasciare a voi la stessa: secondo la discrezione di colui che presiede questo può essere fatto, senza il consenso del capitolo.

LXVII - Le colpe leggere e gravi

Se un fratello avrà sbagliato in modo lieve nel parlare, nell'agire o altrimenti, egli stesso confessi al maestro il suo peccato con l'impegno della soddisfazione. Per le cose lievi, se non esiste una consuetudine, ci sia una lieve penitenza. Nel caso in cui tacesse e la colpa fosse conosciuta attraverso un altro, sia sottoposto a una disciplina e ad una riparazione maggiore e più evidente.Se la colpa sarà grave, si allontani dalla familiarità dei fratelli, né mangi con loro alla stessa mensa, ma da solo assuma il pasto. Il tutto dipenda dalla decisione e dall'indicazione del maestro, affinché sia salvo nel giorno del giudizio.

LXVIII - Per quale colpa il fratello non sia più accolto

Soprattutto occorre provvedere che, nessun fratello, sia potente o impotente, forte o debole, voglia esaltarsi e poco a poco insuperbire, difendere la propria colpa, possa rimanere indisciplinato: ma, se non avrà voluto correggersi, a lui venga data una correzione più severa. Che se non avrà voluto correggersi con pie ammonizioni e per le preghiere a lui innalzate, ma si sarà innalzato sempre più nella superbia: allora secondo l'apostolo, sia sradicato dal pio gregge: togliete il male da voi: è necessario che la pecora malata sia allontanata dalla società dei fratelli fedeli. Inoltre il maestro che deve tenere in mano il bastone e la verga (cioè il bastone, con cui sostenga le debolezze delle altre forze, la verga con cui colpisca con lo zelo della rettitudine i vizi di coloro che vengono meno) con il consiglio del Patriarca e con una considerazione spirituale sul da farsi affinché, come dice il beato Massimo, la più libera clemenza non approvi l'arroganza del peccatore, né l'esagerata severità non richiami dall'errore chi sbaglia.

LXIX - Dalla solennità di Pasqua fino a Tutti i Santi si possa soltanto portare una camicia di lino

Per il grande caldo della regione orientale, consideriamo compassionevolmente, che dalla festa di Pasqua fino alla solennità di Tutti i Santi, si dia a ciascuno una unica camicia di lino, non per il dovuto, ma per sola grazia, e questo dico per chi vorrà usufruire di essa. Negli altri tempi generalmente tutti portino camicie di lana.

LXX - Quanti e quali panni siano necessari nel letto

Per coloro che dormono nei singoli letti riteniamo di comune consiglio, se non sopravviene qualche grave causa o necessità: ciascuno abbia biancheria secondo la discreta assegnazione del maestro: crediamo infatti che a ciascuno sia sufficiente un pagliericcio, un cuscino e una coperta. Colui che manca di uno di questi, prenda una stuoia, e in ogni tempo sarà lecito usufruire di una coperta di lino, cioè un panno: dormano vestiti con la camicia, e sempre dormano indossando gli stivali. Mentre i fratelli dormono, fino al mattino non manchi la lucerna.

LXXI - Va evitata la mormorazione

Comandiamo a voi, per divino ammonimento di evitare, quasi peste da fuggire, le emulazioni, il livore, le mormorazioni, il sussurrare, le detrazioni. Si impegni ciascuno con animo vigile, a non incolpare o riprendere il suo fratello ma ricordi tra se la parola dell'apostolo: non essere un accusatore, né diffamatore del popolo. Quando qualcuno avrà conosciuto che un fratello ha peccato in qualcosa, in pace e fraterna pietà, secondo il precetto del Signore, lo corregga tra sé e lui solo: e se non lo avrà ascoltato prenda un altro fratello: ma se avrà disprezzato entrambi, in riunione davanti al capitolo tutto sia rimproverato. Soffrono di grave cecità, coloro che calunniano gli altri; sono di grande infelicità coloro che non si guardano dal livore: da qui sono immersi nell'antica iniquità dell'astuto nemico.

LXXII - Si evitino i baci di tutte le donne

Riteniamo pericoloso per ogni religioso fissare lungamente il volto delle donne: perciò un fratello non osi baciare né una vedova, né una nubile, né la madre, né la sorella, né un'amica, né nessuna altra donna. Fugga dunque la milizia di Cristo i baci femminili, attraverso i quali gli uomini spesso sono in pericolo: così con coscienza pura e vita libera può perennemente conversare al cospetto del Signore.
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Messaggio  Hars Sab Nov 27, 2010 7:37 pm

stupendo, grazie... darà infiniti spunti di gioco per noi germanici ^^
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Messaggio  Caio Flavio Hostilio Sab Nov 27, 2010 11:16 pm

grande!
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Messaggio  Bieco Dom Nov 28, 2010 9:41 pm

...L'Ordine di Santiago:

detto anche Ordine di San Giacomo di Compostela è un antico ordine monastico-militare sorto nel XII secolo nel Regno di León e reso dinastico nel 1482.
Deve il proprio nome al santo patrono di Spagna, Giacomo il Maggiore, sotto la cui egida i Cristiani della Galizia e delle Asturie iniziarono nel IX secolo a combattere i Musulmani di Spagna.

La prima fondazione dell'Ordine fu militare, quando nell'anno 1170 il re Ferdinando II di León incaricò un gruppo di cavalieri conosciuti come i frati de Caceres di difendere la città di Caceres, che dovettero poi abbandonare una volta conquistata dai Musulmani.
La fondazione religiosa si attribuisce al re Alfonso VIII di Castiglia, con l'approvazione di papa Alessandro III mediante una bolla del 5 luglio 1175.


La Croce di Santiago simbolo dell'ordine.
I cavalieri dell'Ordine di Santiago accettarono i voti di povertà e obbedienza. Tuttavia, all'organizzarsi scelsero la regola degli Agostiniani invece che quella Cistercense e che i propri membri non fossero obbligati a fare voto di castità e potessero contrarre matrimonio (alcuni dei fondatori erano sposati). La bolla di Alessandro III raccomandava il celibato, ma lo statuto precisava: "In coniugale castità, vivendo senza peccato, imitano ai primi padri, perché è meglio sposarsi che bruciare".
Alfonso VIII cedette all'ordine Uclés (1174), diventando sin d'allora la principale casa dell'ordine stesso, poi Moya e Mira (1211), alle quali si unirono in seguito Osa, Montiel e Alhambra.


Libro della vita del fondatore dell'ordine
I cavalieri di Santiago parteciparono alla riconquista dei marchesati di Teruel e Castellon e combatterono nella Battaglia di Las Navas de Tolosa (1212). I monarchi Castellanoleonesi concessero all'Ordine privilegi che permisero ad esso di ripopolare estese regioni dell'Andalusia e della Murcia.
Durante il XV secolo l'ordine spostò il suo raggio d'azione nella Sierra Morena prendendo come luogo di residenza delle maestranze il paese di Llerena, producendo una forte crescita demografica in tutta la zona.
Con il passare del tempo e la fine o il rallentamento della Reconquista, l'Ordine di Santiago si vide implicato in lotte interne alla Corona di Castiglia. Allo stesso tempo, gli immensi beni dell'ordine obbligarono l'ordine stesso a sostenere le pretese della corona. Essendo il gran Maestro dell'ordine molto influente, non erano rare le lotte interne per la conquista del potere. Si arrivò ad un tale punto di discredito presso il popolo che alla morte nel 1493 dell'allora gran Maestro Alonso de Cardenas, i Re Cattolici chiesero alla Santa Sede di mettere fine alla corruzione e agli scandali. Così con la supplica dei re Alessandro VI concedette a loro l'amministrazione dell'ordine, ricompensa che poteva essere vista come un ringraziamento per gli sforzi fatti per proteggere la fede cattolica.
Con la morte di Ferdinando il Cattolico, l'amministrazione passò per successione all'imperatore Carlo V, e il papa Adriano VI unì per sempre la corona spagnola con l'ordine di Santiago, Ordine di Calatrava e Ordine di Alcantara nel 1523. Sino ad allora il gran maestro era eletto dal consiglio dei tredici, così chiamato perché composto da tredici cavalieri designati tra i governatori dell'ordine.
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Messaggio  Shana Lun Nov 29, 2010 12:54 pm

Mi ha sempre affascinato la storia di San Giacomo di Compostela, grazie per le spiegazioni!!
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Lo sapevate che... [angolo di cultura storico medievale] Empty Pergamena di Chinon

Messaggio  Aychelin Mer Dic 29, 2010 10:49 pm

Moolto moooolto importante...


PERGAMENA DI CHINON - ASSOLUZIONE DI PAPA CLEMENTE V
AI CAPI DELL’ORDINE TEMPLARE
Chinon, diocesi di Tours, 1308 agosto 17-20

________________________________________

Originale formato da un unico foglio membranaceo di grandi dimensioni (mm. 700x580), in origine munito dei sigilli pendenti dei tre legati apostolici che formavano la speciale Commissione apostolica ad inquirendum nominata da Clemente V: Bérenger Frédol, cardinale prete del titolo dei SS. Nereo ed Achilleo e nipote del papa, Étienne de Suisy, cardinale prete di S. Ciriaco in Thermis, Landolfo Brancacci, cardinale diacono di S. Angelo. Stato di conservazione discreto, anche se sono presenti vistose macchie violacee dovute ad attacco batterico. L’originale era corredato da una copia semplice coeva, tuttora conservata presso l’Archivio Segreto Vaticano con segnatura Archivum Arcis, Armarium D 218.
ASV, Archivum Arcis, Arm. D 217

Il documento contiene l’assoluzione impartita da Clemente V all’ultimo Gran Maestro del Tempio, frate Jacques de Molay, e agli altri capi dell’Ordine dopo che questi ultimi hanno fatto atto di pentimento e richiesto il perdono della Chiesa; dopo l’abiura formale, obbligatoria per tutti coloro che erano anche solo sospettati di reati ereticali, i membri dello Stato Maggiore templare sono reintegrati nella comunione cattolica e riammessi a ricevere i sacramenti. Appartenente alla prima fase del processo contro i Templari, quando Clemente V era ancora convinto di poter garantire la sopravvivenza dell’ordine religioso-militare, il documento risponde alla necessità apostolica di rimuovere dai frati-guerrieri l’infamia della scomunica nella quale si erano precedentemente invischiati da soli ammettendo di aver rinnegato Gesù Cristo sotto le torture dell’Inquisitore francese. Come confermano diverse fonti coeve, il papa appurò che fra i Templari si erano effettivamente insinuate gravi forme di malcostume e pianificò una radicale riforma dell’ordine per poi fonderlo in un istituto unico con l’altro grande ordine religioso-militare degli Ospitalieri. L’atto di Chinon, presupposto necessario alla riforma, rimase però lettera morta. La monarchia francese reagì innescando un vero meccanismo di ricatto, che costringerà in seguito Clemente V a compiere un passo definitivo durante il concilio di Vienne (1312): non potendo opporsi alla volontà di Filippo IV il Bello, re di Francia, che imponeva l’eliminazione dei Templari, il papa, sentito il parere dei padri conciliari, decise di sopprimere l’ordine «con norma irreformabile e perpetua» (bolla Vox in excelso, 22 marzo 1312). Clemente V specifica però che tale sofferta decisione non costituisce un atto di condanna per eresia, al quale non si sarebbe potuti giungere sulla base delle diverse inchieste istruite negli anni precedenti il concilio. Per emettere una sentenza definitiva sarebbe stato necessario infatti un regolare processo, che prevedesse anche l’esposizione delle tesi difensive da parte dell’ordine. Ma lo scandalo suscitato dalle infamanti accuse rivolte ai Templari (eresia, idolatria, omosessualità e pratiche oscene) avrebbe dissuaso chiunque, secondo il pontefice, dall’indossare l’abito templare e, d’altra parte, una dilazione nella decisione in merito a tali questioni avrebbe prodotto la dilapidazione delle ingenti ricchezze offerte dai cristiani all’ordine, incaricato di accorrere in aiuto della Terrasanta per combattere i nemici della fede. L’attenta considerazione di questi pericoli, unitamente alle pressioni di parte francese, convinsero il papa a sopprimere l’Ordine dei Cavalieri del Tempio, così come in passato, e per motivazioni di assai minor momento, era accaduto ad ordini religiosi di importanza ben più rilevante.



Assoluzione degli Alti Dignitari dell’Ordine del Tempio da parte dei Legati Pontifici

ASV, A.A., Arm. D 217 - Chinon, 1308 agosto 17-20

In nome di Dio amen. Noi per misericordia divina cardinali preti Berengario del titolo dei Santi Nereo e Achilleo, e Stefano del titolo di San Ciriaco in Termis, e Landolfo, cardinale diacono del titolo di Sant’Angelo, rendiamo noto a chiunque visionerà il presente e pubblico documento quanto segue: dopo che, recentemente, il santissimo padre e nostro signore Clemente, per divina provvidenza sommo pontefice della sacrosanta e universale Chiesa di Roma, a causa di quanto riportato dalla pubblica voce e dalla accesa denuncia dell’illustre re dei Franchi, e di prelati, duchi, conti, baroni e altri nobili e non nobili del medesimo regno di Francia fece istruire un’indagine contro alcuni frati, preti, cavalieri, precettori e sergenti dell’ordine della Milizia del Tempio relativa a quei fatti che riguardano tanto i frati dell’ordine quanto la fede cattolica e lo stato dell’ordine medesimo, e per i quali fatti essi sono stati pubblicamente diffamati, lo stesso pontefice, volendo e intendendo conoscere la pura, piena e integra verità sugli alti dignitari del detto ordine, cioè il frate Jacques de Molay, gran maestro di tutto l’ordine dei Templari, e i frati Raymbaud de Caron, precettore d’Oltremare, e i precettori delle magioni templari Hugues de Pérraud in Francia, Geoffroy de Gonneville in Aquitania e Poitou, Goeffroy de Charny in Normandia, ordinò e incaricò noi, con mandato speciale ed impartito espressamente dall’oracolo della sua viva voce, affinchè, accompagnati da notai pubblici e testimoni degni di fede, ricercassimo con attenzione la verità nei confronti del gran maestro e degli altri precettori sopra nominati interrogandoli rigorosamente uno ad uno.
Noi dunque, conformemente all’ordine e all’incarico che ci sono stati impartiti dal predetto nostro signore e sommo pontefice, abbiamo indagato sui menzionati gran maestro e precettori, interrogando attentamente i medesimi sui fatti sopra esposti e, come segue qui appresso, abbiamo fatto scrivere dai notai che si sono segnati in calce, e in presenza dei testimoni sottoscritti, le cose dette dai medesimi templari e le loro confessioni, ordinando altresì che queste venissero redatte in pubblica forma e che fossero rese ancora più valide dalla garanzia dei nostri sigilli.
Nell’anno millesimo trecentesimo ottavo dalla nascita del Signore, nella sesta indizione, il giorno diciassettesimo del mese di agosto e nell’anno terzo del pontificato di nostro signore papa Clemente V, nel castello di Chinon, diocesi di Tours, il frate Raymbaud de Caron, cavaliere e precettore d’Oltremare dell’ordine dei Templari, costituitosi dinanzi a noi cardinali sopradetti giurò sui santi Vangeli di Dio, toccando il libro, di dire la pura e piena verità tanto su di sé quanto su ogni singola persona e sui frati dell’ordine, nonché sull’ordine stesso, in particolare su quei temi che riguardano la fede cattolica e lo stato del detto ordine, le altre persone singole e i frati dell’ordine stesso; interrogato attentamente da noi sull’epoca e sulle modalità del suo ingresso nell’ordine disse che, invero, sono circa quarantatre anni che divenne cavaliere, e che fu accolto nel Tempio dal frate Roncelin de Fos, allora precettore della provincia di Provenza, nel luogo di Richarenchis, nella diocesi di Carpentras o di Saint-Paul-Trois-Chàteaux, nella cappella della magione templare di quel luogo. E in quella occasione il precettore non gli disse null’altro che bene; ma poco dopo la detta cerimonia di accoglienza sopraggiunse un certo frate sergente di cui non ricorda il nome, poiché è morto da molto tempo. Questi lo condusse in disparte portando una piccola croce sotto il mantello; dopo che gli altri frati si furono allontanati, appena lo stesso sergente e il deponente furono soli, il sergente gli mostrò una croce che, tuttavia, non ricorda se contenesse o meno l’immagine del crocefisso, crede comunque che vi fosse, dipinta o scolpita. E quel frate gli disse: « Conviene che tu rinneghi questo». E il deponente, non credendo di peccare, disse: «E io lo rinnego». Allo stesso modo il sergente gli disse poi di mantenere la continenza ovvero la castità; tuttavia, qualora non vi fosse riuscito, sarebbe stato meglio che lo avesse fatto in segreto piuttosto che in pubblico. Disse inoltre che quel rinnegamento che fece, lo aveva fatto non con convinzione, ma a parole. Disse poi che il giorno successivo lo aveva rivelato al vescovo di Carpentras, suo parente che si trovava in quel luogo, il quale gli disse che aveva agito male e che aveva peccato: per la qual cosa si confessò allo stesso vescovo che gli ingiunse una penitenza che, a quanto a quanto ci ha detto, fece. Interrogato poi sul vizio di sodomia disse di non averlo mai praticato, in maniera né attiva né passiva, né sentì dire mai che i Templari praticassero quel vizio, tranne che tre soli tra essi, i quali, per quel vizio, erano stati condannati al carcere a vita nel castello di Chàteau-Pélerin. Interrogato se i frati vengano accolti nell’ordine nello stesso modo in cui fu accolto egli stesso, disse di non saperlo, dal momento che non accolse né vide mai accogliere nessuno, tranne che due o tre frati, dei quali non sapeva se avessero negato il Cristo o meno. Interrogato sui nomi di questi frati accolti disse di uno il cui nome era frate Pietro, del quale non sa il cognome. Interrogato su che età avesse quando divenne frate nell’ordine, disse che aveva circa diciassette anni. Interrogato relativamente allo sputo sulla croce e sull’idolo a forma di testa disse di non saperne nulla, aggiungendo che mai aveva sentito dire di questa testa finché non lo udì dire da nostro signore papa Clemente nell’anno testé trascorso. Interrogato sul bacio disse che frate Rossolino, quando lo aveva accolto come frate, lo aveva baciato sulla bocca; di altri baci disse di non saperne nulla. Interrogato se volesse rimaner fermo su questa sua confessione, se avesse detto la verità, e se vi avesse mescolato qualcosa di falso o avesse tralasciato qualcosa di vero, disse di volersi mantener fermo nella sua confessione ora rilasciata e di aver detto la verità, e che in quella non aveva mescolato alcunché di falso, né omesso verità alcuna. Interrogato se avesse confessato le cose appena dette su richiesta, per denaro, gratitudine, simpatia, paura o odio o istigazione di qualcuno ovvero per paura della tortura, disse di no. Interrogato se dopo che fu arrestato gli fossero state poste domande o fosse stato torturato disse di no. E infine lo stesso frate Raymbaud, inginocchiatosi e giunte le mani chiese dinanzi a noi il perdono e la misericordia per i fatti rivelati; e poiché era lo stesso frate Raymbaud a chiedere queste cose, abiurò nelle nostre mani la ora rivelata e ogni altra eresia e, per la seconda volta, toccando il libro, giurò sui santi Vangeli di Dio che egli stesso avrebbe obbedito ai precetti della Chiesa e avrebbe tenuto, creduto e osservato la fede cattolica che la Santa Romana Chiesa tiene, osserva, predica e insegna e ordina che sia osservata dagli altri, e che sarebbe vissuto e morto da fedele cristiano. Dopo tale giuramento noi cardinali, in virtù dell’autorità specialmente concessaci dal papa in questo luogo, abbiamo impartito allo stesso frate Raymbaud, che umilmente la chiedeva, il beneficio dell’assoluzione dalla sentenza di scomunica nella quale, per le cose prima rivelate, era incorso, riammettendolo nell’unità della Chiesa e restituendolo alla comunione dei fedeli e ai sacramenti ecclesiastici.
Allo stesso modo, lo stesso giorno, nel modo e nella forma predetti, costituitosi di persona, in presenza di noi e degli stessi notai e testimoni, il frate Geoffroy de Charny, cavaliere, precettore delle magioni del Tempio in tutta la Normandia, giurò in modo simile sui santi Vangeli di Dio, toccando il libro; attentamente interrogato sulle modalità del suo ingresso nell’ordine disse che sono circa quarant’anni che fu accolto nella Milizia del Tempio dal frate Amaury de la Roche, precettore di Francia, presso Étampes, nella diocesi di Sens, nella cappella della magione templare di quel luogo, presenti il frate Jean le Franceys, precettore del Poitou e circa nove o dieci confratelli che ora, a quanto crede, sono morti. E, in quell’occasione, terminato il rito d’ingresso, postogli sul collo il mantello dell’ordine, il frate che lo aveva accolto lo trasse in disparte all’interno della cappella stessa e gli mostrò una croce sulla quale c’era l’immagine del Cristo: e gli disse di non credere in quello, anzi, di rinnegarlo. E allora, per ordine di quello, lo negò a parole ma senza convinzione. Disse anche che nel momento della sua accoglienza aveva baciato quel frate sulla bocca, sul petto, e sopra la veste, in segno di rispetto. Interrogato se i frati templari fossero accolti nell’ordine nello stesso modo in cui egli stesso era stato accolto disse di non saperlo. Disse anche di aver accolto personalmente nell’ordine un solo frate, secondo quella prassi per la quale egli stesso era stato accolto, e che in seguito accolse molti altri senza imporre loro il predetto rinnegamento e in modo corretto; disse anche che, per il rinnegamento del crocefisso che egli stesso aveva subito durante la sua accoglienza e imposto in quella che fece fare, si confessò con l’allora patriarca di Gerusalemme, e venne assolto da quello. Interrogato attentamente riguardo allo sputo sulla croce, ai baci e al vizio di sodomia e all’idolo a forma di testa, disse di non saperne nulla. Interrogato disse inoltre di credere che gli altri frati vengano accolti nell’ordine nel modo in cui egli stesso vi fu accolto; disse tuttavia di non saperlo per certo, poiché quando avvengono tali cerimonie d’ingresso, gli accoliti vengono tratti in disparte in modo tale che gli altri fratelli che sono nella medesima magione non vedano né ascoltino cosa si faccia con essi in quell’occasione. Interrogato su che età avesse quando fece ingresso nell’ordine, disse di avere avuto circa diciassette anni. Interrogato se avesse confessato le cose appena dette su richiesta, per denaro, gratitudine, simpatia, paura, odio o istigazione di qualcuno ovvero per paura della tortura, disse di no. Interrogato se volesse rimaner fermo su questa sua confessione, e se avesse detto la verità e se vi avesse mescolato qualcosa di falso ovvero se avesse tralasciato qualcosa di vero, disse che voleva rimaner fermo nella sua confessione appena detta, nella quale aveva detto ogni cosa per vera, e di aver detto la verità, e che in quella non aveva mescolato alcunché di falso, né omesso verità alcuna. Dopo ciò noi cardinali, secondo le modalità e le forme sopra scritte, ritenemmo che al medesimo frate Geoffroy, che nelle nostre mani abiurava quella appena rivelata e ogni altra eresia, e che giurava sui santi Vangeli di Dio richiedendo umilmente anche il beneficio dell’assoluzione per questi fatti, fosse da impartire il beneficio dell’assoluzione secondo le forme della Chiesa, riaccogliendolo nell’unità della Chiesa e restituendolo alla comunione dei fedeli e ai sacramenti ecclesiastici.
Allo stesso modo, lo stesso giorno, costituitosi di persona, in presenza di noi, dei notai e dei testimoni sottoscritti il frate Geoffroy de Gonneville, attentamente interrogato sull’epoca e sulle modalità della sua accoglienza e sulle altre cose sopra menzionate, disse che sono circa ventotto anni che fu accolto come frate nell’ordine dei Templari da Robert de Torville, cavaliere e precettore delle magioni templari in Inghilterra, presso Londra, nella cappella della casa templare di quella città. E in quell’occasione, il templare che lo accolse, dopo avergli consegnato il mantello dell’ordine, gli mostrò una croce dipinta su un certo libro e gli disse che era necessario che rinnegasse l’immagine di colui che vi era raffigurato; e siccome l’accolito non volle farlo, il precettore insistette assai che lo facesse. Poiché non voleva farlo in nessun modo, il templare, vedendo la sua resistenza, gli disse: «Mi vuoi giurare che, se io ti risparmierò dal farlo, dirai comunque di aver fatto questo rinnegamento se i confratelli te lo chiederanno?». Ed egli disse di sì, e promise che, qualora fosse stato interrogato da chiunque dei confratelli, avrebbe detto di aver compiuto il rinnegamento; pertanto, a quanto ci ha detto, non negò nient’altro. Il templare che lo accoglieva gli disse anche che era necessario sputare sopra la croce prima mostrata; e poiché egli non voleva farlo, il templare posò la mano sopra la croce e gli disse: «Sputa almeno sulla mia mano!». Temendo che il templare togliesse la mano e parte dello sputo potesse cadere sopra la croce, non volle sputare sopra la mano ma in terra, vicino la croce. Interrogato attentamente sul vizio di sodomia, sull’idolo a forma di testa, sui baci e altri fatti sui quali i templari sono diffamati disse di non saperne nulla. Interrogato se altri frati dell’ordine, sono accolti nello stesso modo in cui egli stesso fu accolto, disse di credere che, come avvenne a lui in occasione del suo ingresso già ricordato, così avvenga anche per gli altri. Interrogato se avesse confessato le cose appena dette su richiesta, per denaro, gratitudine, simpatia, paura o odio o istigazione di qualcuno ovvero forzatamente o per paura della tortura, disse di no. Dopo ciò noi cardinali, secondo le modalità e le forme sopra scritte, ritenemmo che al medesimo frate Geoffroy de Gonneville, che nelle nostre mani abiurava la ora rivelata e ogni altra eresia e che giurava sui santi Vangeli di Dio richiedendo umilmente anche il beneficio dell’assoluzione per questi fatti, fosse da impartire il beneficio dell’assoluzione secondo le forme della Chiesa, riaccogliendo egli stesso nell’unità della Chiesa e restituendolo alla comunione dei fedeli e ai sacramenti ecclesiastici.
Allo stesso modo, il giorno diciannove del corrente mese, costituitosi personalmente in presenza di noi e dei medesimi notai e testimoni Hugues de Pérraud, cavaliere, precettore delle magioni del Tempio in Francia, toccando il libro, giurò sui santi Vangeli di Dio nel modo e nella forma predetti. E il predetto frate Hugues, dopo che, come si è già detto, ebbe giurato, interrogato sul modo del suo ingresso nell’ordine, disse di essere stato accolto in Lione, nella casa templare di quella città, nella cappella della medesima magione, passati già quarantasei anni più o meno, il giorno della festa della Maddalena prossimo passatoa; e lo accolse come frate dell’ordine il frate Hubert de Pérraud, cavaliere templare e suo zio paterno, visitatore delle magioni dell’ordine in Francia e nel Poitou. Questi gli posò il mantello dell’ordine sul collo; fatto ciò, un altro confratello di nome Giovanni, che poi fu precettore di La Muce, lo prese da parte nella cappella, e mostratagli una certa croce nella quale era dipinta l’immagine del crocefisso, gli ordinò di rinnegare l’immagine di colui che vi era rappresentato: questi, a quanto ci ha detto, per quanto potè, si oppose. Nondimeno, alla fine, atterrito dalle intimidazioni e dalle minacce di quel frate Giovanni, rinnegò l’immagine dipinta, ma una sola volta. Tuttavia, seppure il detto frate Giovanni gli avesse ordinato più e più volte di sputare sopra la detta croce, non volle farlo. Interrogato se avesse baciato il templare che lo aveva accolto disse di sì, ma solo sulla bocca. Interrogato sul vizio di sodomia disse che non gli fu mai imposto, né mai lo commise. Interrogato se avesse ricevuto alcuni nell’ordine disse di sì: molte persone e in molti casi, più di qualsiasi altro templare ancora in vita nell’ordine. Interrogato sul modo con cui accolse altri disse che, dopo la cerimonia d’ingresso, consegnati i mantelli, imponeva a ciascuno degli accolti che negassero il crocefisso e che baciassero lui sul fondo schiena, sull’ombellico e, in seguito, sulla bocca. Disse anche che li ammoniva di astenersi dai rapporti sessuali con le donne; e qualora non avessero potuto contenere il desiderio, di unirsi con i propri confratelli. Per suo giuramento disse anche che il rinnegamento che fece quando fu accolto nell’ordine e le altre prescrizioni che impose a quelli che furono accolti da lui, le aveva fatte soltanto a parole e senza intenzione. Interrogato perché mai lo avesse fatto e perché mai se ne dolesse, dal momento che lo faceva senza intenzione, rispose che così prescrivevano gli statuti ossia le consuetudini dell’ordine: e da sempre aveva sperato che quell’errore venisse rimosso. Interrogato se qualcuno tra gli accoliti si rifiutasse di sputare o fare le altre riprovevoli azioni da lui stesso menzionate poco prima, disse che in pochi si rifiutavano: ma alla fine lo facevano tutti. Disse anche che per quanto egli stesso imponesse ai frati che accoglieva nell’ordine di unirsi sessualmente tra confratelli, mai tuttavia gli accadde di farlo, né udì mai di qualcuno che avesse commesso quel peccato, tranne che di due o tre frati che in Terra d’Oltremare, per quel vizio, erano stati incarcerati nella fortezza di Chàteau-Pélerin. Interrogato se sappia o meno se tutti i frati dell’ordine siano ricevuti nel modo il cui egli stesso accolse gli altri, disse di non saperlo per certo, tranne che per se stesso e per quelli che aveva accolto personalmente, poiché i templari vengono accolti nell’ordine secondo una procedura talmente segreta che nulla si può sapere, se non attraverso quelli che sono presenti alla cerimonia d’ingresso. Interrogato se creda che gli accolti siano ricevuti in tal modo disse di credere che quella stessa prassi sia ancora mantenuta per accogliere altri, così come fu praticata per accogliere lui, e che egli stesso aveva osservato per quelli che aveva accolto. Interrogato sull’idolo a forma di testa, che si dice sia adorato dai Templari, disse che lo vide, mostratogli a Montpéllier dal frate Pierre Allemandin, precettore di quel luogo; e quella testa rimase a frate Pierre. Interrogato su che età avesse quando fu accolto nell’ordine disse che sentì dire da sua madre di avere avuto diciotto anni. Disse anche che già un’altra volta aveva confessato questi fatti, in presenza del frate inquisitore Guillaime de Paris o di un suo commissario; e che quella confessione era stata scritta per mano dello stesso maestro che qui si sottoscrive, Amise de Orléans, e di certi altri notai pubblici. E si attiene a quella confessione come vera, e in quella, e in tutto ciò che in questa concorda con quella, vuole rimaner fermo; e se nella medesima sua confessione fatta, come già detto, dinanzi all’inquisitore o al suo commissario, vi sia qualcosa in più, lo ratifica, lo approva e lo conferma. Interrogato se abbia confessato le cose appena dette su richiesta, per denaro, gratitudine, simpatia, paura o odio o istigazione di qualcuno ovvero per paura della tortura, disse di no. Interrogato se dopo che fu arrestato gli fossero state poste domande o fosse stato torturato disse di no. Dopo ciò noi cardinali, secondo le modalità e le forme sopra scritte, ritenemmo che al medesimo frate Hugues, che nelle nostre mani abiurava la ora rivelata e ogni altra eresia e che giurava sui santi Vangeli di Dio richiedendo umilmente anche il beneficio dell’assoluzione per questi fatti, fosse da impartire il beneficio dell’assoluzione secondo le forme della Chiesa, riaccogliendo egli stesso nell’unità della Chiesa e restituendolo alla comunione dei fedeli e ai sacramenti ecclesiastici.
Allo stesso modo, il venti del corrente mese, in presenza di noi e dei medesimi notai e testimoni, costituitosi di persona il frate Jacques de Molay, cavaliere e gran maestro dell’ordine del Tempio, dopo che ebbe giurato, attentamente interrogato sulla forma e le modalità sopra riportate, disse che sono passati circa .quarantadue anni dacché presso Beune, nella diocesi di Autun, fu accolto come frate dell’ordine, per mezzo del cavaliere templare Hubert de Pérraud, allora visitatore di Francia e Poitou, nella cappella della magione di quel luogo. E sulle modalità del suo ingresso nell’ordine disse che quello che lo aveva accolto, prima di allacciargli il mantello, gli mostrò una certa croce, gli disse di rinnegare Dio la cui immagine era dipinta sulla croce stessa, e di sputarvi sopra: cosa che egli fece; e tuttavia non sputò sulla croce, ma per terra, a quanto disse. Disse inoltre che quel rinnegamento lo fece a parole, senza intenzione. Interrogato attentamente sul vizio di sodomia, sull’idolo a forma di testa e sui baci immorali disse di non saperne nulla. Interrogato se avesse confessato le cose appena dette su richiesta, per denaro, gratitudine, simpatia, paura o odio o istigazione di qualcuno ovvero per paura della tortura, disse di no. Interrogato se dopo che fu arrestato gli fossero state poste domande o fosse stato torturato disse di no. Dopo ciò noi cardinali, secondo le modalità e le forme sopra scritte, ritenemmo che al medesimo frate Jacques, gran maestro dell’ordine, che nelle nostre mani abiurava la ora rivelata e ogni altra eresia e che giurava sui santi Vangeli di Dio richiedendo umilmente anche il beneficio dell’assoluzione per questi fatti, fosse da impartire il beneficio dell’assoluzione secondo le forme della Chiesa, riaccogliendo egli stesso nell’unità della Chiesa e restituendolo alla comunione dei fedeli e ai sacramenti ecclesastici.
Nello stesso giorno 20 il già menzionato frate Geoffroy de Gonneville, costituitosi alla presenza di noi e dei medesimi notai e testimoni, ha ratificato, approvato e confermato spontaneamente e liberamente la sua confessione sopra riportata, lettagli pubblicamente nella sua lingua, dichiarando che intende rimaner fermo tanto in questa confessione quanto anche in quella che già un’altra volta ha dichiarato, su questi fatti, dinanzi all’inquisitore o agli inquisitori, dal momento che concorda con la detta confessione fatta dinanzi a noi e ai notai e ai testi ricordati, e che intende attenersi ad entrambe le confessioni; e se nella medesima confessione fatta, come è stato detto, dinanzi all’inquisitore o agli inquisitori, vi sia qualcosa in più, lo ratifica, lo approva e lo conferma.
Nel predetto giorno 20 il già menzionato frate precettore Hugues de Pérraud, costituitosi in presenza di noi e dei medesimi notai e testimoni, in modo e forma analoghi, spontaneamente e liberamente ha ratificato, approvato e confermato la sua confessione sopra riportata lettagli pubblicamente nella sua lingua. A testimonianza di tutto questo, abbiamo ordinato che le confessioni e tutti i singoli fatti sopra riportati, dinanzi a noi e agli stessi notai e testimoni e da noi stessi resi come qui sopra sono contenuti, vengano scritti e, una volta redatti in pubblica forma da Robert de Condet, chierico della diocesi di Soissons e notaio per autorità apostolica, che fu presente insieme a noi e ai notai e testi sotto indicati, siano munite con il peso dei nostri sigilli.
Questi fatti si svolsero nell’anno, nell’indizione, nel mese, nei giorni, nel pontificato e nel luogo sopra ricordati, in presenza di noi, presenti i notai pubblici per autorità apostolica Umberto Vercellani, Nicolo Nicolai di Benevento, il ricordato Robert de Condet e il maestro Amise de Orléans detto le Ratif, e i testimoni appositamente convocati per questo: il religioso frate Raimondo, abate del monastero di San Teoffredo dell’ordine di San Benedetto nella diocesi di Annecy, e gli avveduti signori Bernardo da Boiano, arcidiacono di Troia, Raoul de Boset, penitenziere e canonico di Parigi e Pierre de Soire, custode della chiesa di Saint-Gaucéry di Cambresis.
(ST) E io il medesimo Robert de Condet, chierico della diocesi di Soissons, notaio pubblico per autorità apostolica, ho assistito a tutti i singoli fatti sopra riportati in presenza dei reverendi padri e già ricordati signori cardinali, di me, e degli altri medesimi notai e testimoni, presente per grazia degli stessi cardinali insieme ai ricordati notai e testimoni, e dietro ordine degli stessi signori cardinali scrissi il presente strumento pubblico e, su richiesta, lo ho redatto in pubblica forma apponendovi il mio segno notarile.
(ST) E io sopra ricordato Umberto Vercellani, chierico di Béziers, notaio pubblico per autorità apostolica ho assistito alle confessioni e a tutti i singoli fatti sopra riportati in presenza dei signori cardinali predetti e come sopra più ampiamente è riportato, presente per grazia di questi insieme ai notai e ai testimoni sopra menzionati e dietro ordine degli stessi signori cardinali, a maggiore garanzia mi sono sottoscritto in questo strumento pubblico e lo ho autenticato con il mio segno notarile.
E io Nicola di Benevento, notaio pubblico per autorità apostolica sopra nominato, ho assistito alle confessioni e a tutti i singoli altri fatti sopra riportati in presenza dei signori cardinali predetti e come sopra più diffusamente è riportato, presente per grazia di questi insieme ai notai e ai testimoni sopra menzionati e dietro ordine degli stessi signori cardinali, a maggiore garanzia mi sono sottoscritto in questo strumento pubblico e lo ho autenticato con il mio segno notarile (ST).
(ST) E io Amise de Orléans detto le Ratif, chierico e notaio pubblico per l’autorità della sacrosanta Chiesa di Roma ho assistito alle confessioni ovvero deposizioni e a tutti gli altri singoli fatti in presenza dei padri e signori cardinali predetti e come sopra è più diffusamente contenuto, fui presente insieme ai notai e testimoni sopra menzionati e dietro ordine degli stessi signori cardinali a testimonianza di verità mi sono sottoscritto, su richiesta, in questo strumento pubblico e lo ho autenticato con il mio segno notarile
La pergamena di Chinon era già registrata nell’inventario vaticano del 1912

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 25 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Aprendo giovedì in Vaticano la conferenza stampa di presentazione del volume Processus Contra Templarios, mons. Sergio Pagano, Prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano, ha spiegato che la pergamena di Chinon, che riporta l’assoluzione dei Templari dall’accusa di eresia da parte di Clemente V, era già registrata nell’inventario del 1912.
Mons. Pagano ha inoltre tenuto a precisare che nella pubblicazione dei Processus Contra Templarios “non c’è né vi potrebbe essere alcuna volontà riabilitativa dei Templari” ed anche il fatto che siano “stati processati all'inizio del 1307 e che questa presentazione cade nel 2007 è del tutto fortuito: il nostro scopo ed il nostro potere si ferma agli studi storici”.
Il refetto dell'Archivio Segreto Vaticano ha detto con chiarezza che “tanto rumore intorno a questa presentazione non è nello stile dell’Archivio Segreto” perché “l’Archivio persegue uno stile umile e noi siamo caparbiamente ancora convinti che i libri si pubblicano, si leggono e si studiano, non si presentano. Oggi sembra che i libri vengano presentati senza poi leggerli”.
Il presule ha poi precisato che “si tratta di qualcosa di diverso da un libro, ovvero la pubblicazione di un facsimile, ricco, accuratamente costruito, che ha al proprio interno delle pergamene, e che è corredato da un commentario storico che contiene la trascrizione di tutti i testi in edizione critica”.
In merito a quelle che la stampa ha indicato come sensazionali scoperte, monsignor Pagano ha spiegato che “tutti questi testi erano già noti, compresa la pergamena di Chinon”.
E’ vero, ha sostenuto monsignor Pagano, che “la professoressa Barbara Frale ha parlato di scoperta perché lei per prima ha dedicato a questa pergamena una attenzione particolare”, ma “ho davanti l’inventario che parla di questa pergamena e data 1912, cioè dal 1912 ad oggi questa pergamena è perfettamente descritta nei nostri inventari, e qualsiasi studioso poteva trovarla”.
Sul valore dell’opera il Prefetto dell’Archivio Vaticano ha spiegato che “il processo fotografico che è stato utilizzato nella risoluzione ha potuto migliorare anche la lettura degli originali stessi”.
A fianco della qualità artistica mons. Pagano ha indicato poi il commentario storico e il testo critico, ricordando che studiosi tedeschi avevano pubblicato i testi separatamente, “mentre gli esperti dell’Archivio Vaticano hanno curato l’integrazione di questi testi, corredati e collegati in modo particolare”.

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Messaggio  SignoreDellaGuerra Gio Dic 30, 2010 1:20 am

Wow ragazzi, mi fate commuovere innanzi a così tanti dettagli che non si leggono sui libri di storia e di cui sono veramente ghiotto.

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Messaggio  Aychelin Lun Gen 03, 2011 10:30 am

Se volete che vi invado il forum ho tante cosine interessanti... eheheheh Very Happy
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Messaggio  Aychelin Lun Gen 03, 2011 10:41 am

Per chi volesse approfondire il tema "Templari", vi consiglio di leggere "I Templari" di Barbara Frale, storica del Vaticano, la quale ha scritto diversi libri al riguardo.
Ve li consiglio vivamente, sono dei testi brevi ma concisi senza troppe ombre di esoterismo e mistero!
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